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Incontro con il prof. Enrico Sesto

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Oggi molti di noi hanno conosciuto il prof. Enrico Sesto, che qui ringraziamo per la sua disponibilità. Per oltre due ore ci ha allietato con i suoi eruditi concetti sulle teorie di Hillman, del “Daimon” nel mito platonico di Er e del “genio territoriale” nella cultura storico-antropologica di tutta la nostra zona: da Cavagrande a Pantalica fino agli insediamenti rupestri, solo in parte, visibili nel nostro territorio di Leontinoi. Non a caso infatti la scelta del titolo dell’incontro di oggi: “Del genio territoriale: Le cave, le caverne, il cavare. Percorsi archetipici dei modi abitativi degli altopiani iblei”.

Conformarsi al daimon significa realizzare il proprio sé e dire di sì al processo individuativo che ci chiede di diventare quel particolare unico, irripetibile e sacro soggetto che noi siamo. E ogniqualvolta il daimon è messo a tacere, imbavagliato, recluso, le conseguenze non tardano tristemente a venire: la felicità è perduta ed il soggetto malato, come malato è il nostro territorio, visto che non trova più il suo daimon, il suo genio territoriale. Parlare di “daimon” è parlare del “fare anima”, ossia di un archetipo fondamentale nella struttura e nella dinamica dell’inconscio. Ecco perché il nostro modello di vita sarebbe da sempre inscritto nella nostra anima: scegliere la virtù, coltivare la parte migliore di noi stessi o attuare ogni giorno, con coerenza e coraggio, la nostra vocazione dipende, quindi, solo da noi. Molti ha colpito la frase “NOI SIAMO LUOGO” in cui si compendia il vero significato dei concetti esposti: da qui il degrado della nostra società che si è sempre più allontanata dalla sua anima, dal suo genio teriitoriale, dalle sue meraviglie e d’altro canto il piacere che ci pervade quando ci si imbatte per esempio nel tipico odore del nostro pane o ci si ritrova a godere di ammirare le bellezze naturali, sempre più dimenticate, maltrattate e offese. Ci auguriamo l’incontro di oggi possa far riflettere e possa avere presto il suo naturale seguito, visto che per la tarda ora, il prof. ad un certo punto ha dovuto interrompere l’interessante discussione.

Si legge in una sua introduzione ad un volume d’arte di un pittore locale:
(…) l’unica vera ricchezza della Sicilia fisica è il suo sepolto. L’oro, infatti, viene dall’archeologia, secondo una dominante del pensiero tragico, che, nell’ossessione dello scavo, soddisfa la sua mania furente alla profondità, sembra ricordarci che l’oro a noi doveva venire proprio dallo scavo delle nostre immense rovine. (…) Avevamo noi, una volta, un modo di essere responsabili pur dentro l’inconscio: il mito. Il mito sapeva parlare con e per noi, per questo tutte le politiche illuministe dello sviluppo del sud sono miseramente fallite, anche se il loro passaggio ha lasciato profondi segni nella nostra cultura ed ha provocato una vera e propria catastrofe antropologica. che sta alla base della decadenza della nostra intelligenza identitaria, perché abbiamo dimenticato i segreti della nostra storia, abbiamo dimenticato i nostri miti, che sono la memoria stessa dei segreti originali dei diversi tempi, delle diverse storie. Abbiamo dimenticato, o, forse, abbiamo pensato che, per conoscere il sud ignoto, non avevamo più bisogno dei segreti, così dal sacro ignoto siamo diventati profani ignoranti ed abbiamo smesso la cultura tragica a favore del positivismo modernista. Allo stato presente, la politica illuminista non è riuscita ancora a confrontarsi con la nostra radicale negatività, con la nostra passione per lo sfascio e la distruzione, la passione sacra per l’inutile che, senza più cultura tragica, è solo un enorme smarrimento, una mostruosità profana d ogni cosa. Proprio perché ci siamo vergognati della nostra mostruosità divina siamo caduti in servitù, perdendo la sovranità sacra del nostro territorio, che è in mano di nessuno, perché nessuno vi sa parlare, sa svegliare i suoi morti, i segreti geni del luogo morto. Forse cogliendo questo disagio, si vuole rinnovare l’antico culto ed editare nella convinzione di lavorare sul territorio per estrarre il genio locale, perché il territorio senza genio è perso alla sua distruzione mercificata.

(Paolonet)

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